Approfondimenti

Cosa cambia in materia di appalti nel 2020: nuovi obblighi e sanzioni a carico di committente e appaltatori

Come ormai noto agli operatori del settore, il Decreto fiscale 2020 (D.L. n. 124/2019), come modificato dalla Legge di conversione L. n. 157/2019 ha introdotto importanti novità in tema di appalti con decorrenza a far data dal 31 gennaio 2020, imponendo ai committenti una serie di oneri aggiuntivi, finalizzati a controllare e garantire il regolare adempimento dei versamenti delle ritenute fiscali da parte delle imprese appaltatrici a cui, nell’ambito della propria attività, hanno affidato in outsourcing lavori, opere o servizi.

Vediamo nel dettaglio in cosa consistono tali novità, in quali casi si applicano e da quando si applicano, nonché che tipo di conseguenze comporta la loro violazione.

Ambito di applicazione

Iniziamo con il dire che le novità normative introdotte dall’art. 4 del D.L. 124/2019 e riportate integralmente nell’art. 17 bis del D.lgs. n. 241/1997 si applicano alle seguenti tipologie contrattuali: tutti i contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati, nei quali l’affidamento del compimento di una o più opere o di uno o più servizi sia di importo complessivo annuo superiore a euro 200.000 rispetto ad una singola impresa committente, caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente o con utilizzo di beni strumentali dello stesso committente o ad esso riconducibili in qualunque forma.

Deve trattarsi, quindi, di contratti di una certa rilevanza economica (non inferiori ad € 200.000 annui) nonchè caratterizzati per essere “labour intensive” in quanto, come detto svolti o effettuati con prevalente utilizzo di manodopera, presso le sedi del committente e/o con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà del committente.

La norma, inoltre si riferisce, come chiarito anche dalla Circolare dell’AE 1/E/2020 del 12 Febbraio 2020, da un punto di vista soggettivo, ai soggetti residenti in Italia ai fini delle imposte sui redditi e pertanto, stante l’espresso richiamo all’art. 23 del D.P.R. n. 600 /1973, nel novero rientrano:

enti e società indicati nell’articolo 73, comma 1, del TUIR;
società e associazioni indicate nell’articolo 5 del TUIR;
persone fisiche che esercitano imprese commerciali ai sensi dell’articolo 55 del TUIR o imprese agricole;
persone fisiche che esercitano arti e professioni;
curatore fallimentare e commissario liquidatore;
condominio

Sono pertanto esclusi dall’applicazione della norma i soggetti non residenti, senza stabile organizzazione in Italia, nonché i soggetti residenti che non esercitano attività d’impresa o non esercitano imprese agricole o non esercitano arti o professioni, ad esempio i condomìni, in quanto tali soggetti non detengono beni strumentali e dunque non possono esercitare alcuna attività d’impresa o agricola o attività professionale. Per le medesime ragioni sono esclusi dall’ambito di applicazione gli enti non commerciali (enti pubblici, associazioni, trust ecc.) limitatamente all’attività istituzionale di natura non commerciale svolta.

 

La deroga prevista dall’ art. 17 bis, comma 5 del lgs. n. 241/1997

 

Fermo restando l’ampio raggio di applicazione delle nuove norme introdotte, l’art. 17 bis comma 5 ha previsto e disciplinato una ipotesi di esonero di applicazione dell’intera nuova disciplina per quelle imprese appaltatrici o affidatarie o subappaltatrici che comunichino al committente, allegando la certificazione rilasciata dall’Agenzia delle entrate, di possedere cumulativamente i seguenti requisiti:

– risultino in attività da almeno tre anni;

– siano in regola con gli obblighi dichiarativi;

– abbiano eseguito nel corso dei periodi d’imposta cui si riferiscono le dichiarazioni dei redditi presentate nell’ultimo triennio versamenti complessivi, registrati nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10% dell’ammontare dei ricavi o compensi risultanti dalle dichiarazioni stesse;

– che non abbiano iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di addebito affidati agli agenti della riscossione relativi alle imposte sui redditi, all’Irap, alle ritenute e ai contributi previdenziali per importi superiori a 50 mila euro, per i quali i termini di pagamento siano scaduti e siano ancora dovuti pagamenti o non siano in essere provvedimenti di sospensione.

L’Agenzia delle entrate, con la recente circolare 1/E/2020 ha chiarito che, su richiesta delle aziende interessate e previa verifica dei requisiti metterà la certificazione (DURF), valida quattro mesi dalla data del rilascio, a disposizione delle singole imprese a partire dal terzo giorno lavorativo di ogni mese. Inoltre, si chiarisce che nel caso in cui il committente sia una pubblica amministrazione la sussistenza dei requisiti potrà essere oggetto di autocertificazione.

 

I nuovi obblighi previsti a carico delle parti

Per quanto concerne i nuovi obblighi previsti dall’art. 17 bis, la disposizione prevede che le imprese committenti rientranti nell’ambito di applicazione come sopra delineato, sono onerate a richiedere all’impresa appaltatrice o affidataria e alle imprese subappaltatrici, obbligate a rilasciarle, copia delle deleghe di pagamento relative al versamento delle ritenute fiscali trattenute ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio.

In particolare per poter consentire al committente la regolarità delle certificazioni, le imprese appaltatrici o affidatarie e le imprese subappaltatrici dovranno provvedere entro cinque giorni lavorativi successivi alla scadenza del versamento a fornire al committente un elenco dettagliato contenente:

– le deleghe di pagamento, sopra menzionate;

– i nominativi di tutti i lavoratori, identificati mediante codice fiscale, impiegati nel mese precedente direttamente nell’esecuzione di opere o servizi affidati dal committente;

– il dettaglio delle ore di lavoro prestate da ciascun dipendente in esecuzione dell’opera o del servizio affidato;

– l’ammontare della retribuzione corrisposta al dipendente collegata a tale prestazione

– il dettaglio delle ritenute fiscali eseguite nel mese precedente nei confronti di tale lavoratore, con separata indicazione di quelle relative alla prestazione affidata dal committente.

Per arginare il fenomeno degli omessi versamenti, la normativa inoltre, esclude la possibilità di compensazione delle ritenute relative ai redditi di lavoro dipendente e assimilati da parte delle imprese appaltatrici, affidatarie e subappaltatrici che eseguono opere e servizi rientranti nel perimetro della disciplina. Al riguardo l’Agenzia delle Entrate con la circolare 1/E del 12 febbraio 2020 ha chiarito che il divieto di compensazione non è applicabile per i crediti maturati dall’impresa in qualità di sostituto d’imposta (ad esempio rimborsi da 730, eccedenze di versamento o di ritenute, bonus 80 euro).

In caso di mancato adempimento da parte di queste ultime degli obblighi di trasmissione di cui sopra entro il termine di 5 giorni o nel caso di omesso versamento delle ritenute fiscal, il comma 3 dell’art. 17-bis introduce l’obbligo per il committente di sospendere il pagamento dei corrispettivi maturati dall’impresa appaltatrice o affidataria

In sostanza il Committente deve sospendere, finché perdura l’inadempimento, il pagamento dei corrispettivi maturati dall’impresa appaltatrice o affidataria sino a concorrenza del 20% del valore complessivo del servizio o dell’opera ovvero per un importo pari alle ritenute non versate come risultante dai dati delle comunicazioni trasmesse.

Inoltre ne deve dare comunicazione entro 90 giorni all’Agenzia delle Entrate.

A tal proposito sempre nelle indicazioni fornite dall’AE nella circolare 1/E/2020, si afferma che il committente dovrà effettuare una valutazione di “congruità” , verificando che la retribuzione oraria corrisposta a ciascun lavoratore non sia manifestamente incongrua rispetto all’opera prestata dal lavoratore. Ancorché il riscontro dovrà basarsi su elementi cartolari (ad esempio, sulla verifica della corrispondenza tra le deleghe di versamento e la documentazione fornita), lo stesso dovrà essere accompagnato da una valutazione finalizzata a verificare, tra l’altro, la coerenza tra l’ammontare delle retribuzioni e gli elementi pubblicamente disponibili (come nel caso di contratti collettivi), l’effettiva presenza dei lavoratori presso la sede del committente.

Per esigenze di semplificazione, limitatamente alla verifica sulle ritenute, la circolare chiarisce che queste ultime non si considerano manifestamente incongrue allorché siano superiori al 15 per cento della retribuzione imponibile ai fini fiscali.

 

Profili sanzionatori a carico del committente

Nel caso in cui il committente non adempia agli obblighi previsti a suo carico, il successivo quarto comma della nuova disposizione normativa dispone l’applicabilità di una sanzione per il committente pari a quella irrogata all’impresa appaltatrice o affidataria o subappaltatrice per la corretta determinazione ed esecuzione delle ritenute, nonché per il tempestivo versamento delle medesime. Il committente è, dunque, tenuto a versare una somma calcolata e riferita alla quota parte di ritenute fiscali – riferibili ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio presso il medesimo – non correttamente determinate, eseguite e versate.

Si tratta, in particolare, delle sanzioni previste dall’articolo 14 del D.Lgs. 471/97 in caso di mancata esecuzione delle ritenute (sanzione pari al 20% degli importi non trattenuti) e dall’articolo 13 del D.Lgs. 471/97 per l’omesso o ritardato versamento delle ritenute stesse (pari al 30% dei versamenti non effettuati).

In sostanza, il committente sarà soggetto a una sanzione in misura corrispondente a quella irrogata all’impresa che ha commesso la violazione. La sanzione sarà applicabile qualora il committente non abbia richiesto la prova del pagamento delle ritenute eseguite dall’impresa, non abbia sospeso il pagamento dei corrispettivi in caso di eventuali inadempimenti oppure abbia omesso di segnalarli all’Agenzia delle Entrate.

Non si tratta dunque di un regime di responsabilità solidale (come già previsto per le obbligazioni contributive dall’articolo 29 del D.Lgs. n. 276/2003); piuttosto l’intervento normativo deve essere contestualizzato nell’ambito di una serie di disposizioni finalizzate a contrastare le false compensazioni e ad attribuire in capo ai soggetti committenti un ruolo di controllo sull’esecuzione dei versamenti delle ritenute fiscali in alcuni settori particolarmente critici.

Considerata la natura sanzionatoria della disposizione in commento, la circolare 1/E/2020 ha chiarito che restano fuori dall’ambito di applicazione della stessa tutte le altre violazioni tributarie da parte dell’impresa appaltatrice o affidataria o subappaltatrice non espressamente menzionate (ad esempio, la violazione degli obblighi dichiarativi in qualità di sostituto d’imposta di cui all’articolo 2 del decreto legislativo n. 471 del 1997).

Decorrenza

Rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 17-bis le ritenute operate sugli emolumenti di competenza gennaio 2020. I nuovi obblighi troveranno applicazioni con riferimento alle ritenute operate nel mese di gennaio 2020 e quindi relativamente ai versamenti da effettuare entro il 17 febbraio 2020 anche con riguardo a contratti di appalto, affidamento o subappalto stipulati in un momento antecedente al 1°gennaio 2020.

 

Considerazioni conclusive

Stante l’impianto innovativo introdotto con le norma sopra ripercorse, si suggerisce alle imprese operanti nel settore degli appalti pubblici o privati un’attenta valutazione dei propri contratti, già attualmente in essere nonché in corso di stipula o contrattazione, rendendosi opportuna, soprattutto in considerazione delle conseguenze sanzionatorie a carico delle imprese committenti, l’introduzione all’interno dei contratti di clausole specifiche o appendici aggiuntive aventi ad oggetto i nuovi obblighi a carico delle imprese appaltatrici, sub appaltatrici o affidatarie di opere o servizi, al fine di responsabilizzare queste ultime anche nell’ambito dei rapporti contrattuali tra le parti.

Firenze Legale è a disposizione delle aziende per una valutazione e consulenza sui contratti di appalto e per apprestare la migliore tutela dei vostri interessi.

 

 

Approfondimenti

Sgravi contributivi alle imprese e reddito di cittadinanza

A partire dal 15.11.2019 l’INPS ha pubblicato on line sul proprio sito istituzionale (www.inps.it) il modulo denominato “SRDC – sgravio reddito di cittadinanza” che consente alle imprese di richiedere lo sgravio contributivo in caso di nuove assunzioni di soggetti percettori del reddito di cittadinanza.

Vediamo nel dettaglio di cosa si tratta e dei requisiti necessari per accedere all’agevolazione.

Il decreto legge n. 4 del 28.01.2019 convertito, con modificazioni dalla L. n. 26 del 28.03.2019, istituendo il c.d. reddito di cittadinanza per i cittadini, ha contestualmente introdotto un incentivo per i datori di lavoro che assumono con contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato i beneficiari di tale trattamento assistenziale. L’esonero riguarda il versamento dei contributi previdenziali e assistenziali a carico del datore di lavoro e del lavoratore– con esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL – nel limite dell’importo mensile del reddito di cittadinanza spettante al lavoratore all’atto dell’assunzione, con un tetto massimo mensile di 780 euro.

Durata: lo sgravio in questione ha una durata variabile a seconda del periodo di fruizione del reddito di cittadinanza (rdc) già goduto dal lavoratore neo assunto ed è pari alla differenza tra 18 mensilità (periodo massimo di durata del rdc) e le mensilità già godute dal beneficiario fino alla data di costituzione del rapporto di lavoro e comunque per un periodo minimo di cinque mesi.

Requisiti per ottenere e mantenere l’agevolazione contributiva: per poter ottenere e, soprattutto mantenere l’agevolazione ottenuto evitando la richiesta di restituzione del beneficio goduto, occorre che le imprese rispettino le seguenti condizioni, previste dai principi generali stabiliti in materia di incentivi all’assunzione dall’art. 31 d.lgs 150/2015 e in particolare:

L’impresa che assume deve realizzare e mantenere per l’intero periodo di fruizione del beneficio un incremento occupazionale del numero dei propri dipendenti a tempo indeterminato. Tale incremento, verrà verificato per i dodici mesi successivi all’assunzione agevolata, tenendo conto della media dei dipendenti occupati nell’azienda al termine di tale periodo. Nel caso in cui tale verifica postuma non sia positiva, perché ad esempio nell’arco dell’anno sono stati effettuati da parte dell’azienda uno o più licenziamenti o sono intervenute dimissioni di altri dipendenti abbassandosi in tal modo o rimanendo invariata rispetto all’anno precedente la media degli occupati, l’impresa sarà tenuta alla restituzione dell’incentivo goduto durante i mesi in cui tale requisito è venuto meno.
L’assunzione non deve costituire attuazione di un obbligo preesistente, quali a titolo esemplificativo il rispetto dell’obbligo di precedenza nelle assunzioni dei lavoratori che hanno prestato attività lavorativa all’interno dell’azienda con contratto a tempo determinato superiore a sei mesi e hanno manifestato la volontà di avvalersi dell’eventuale diritto di precedenza.
Coerentemente con il precedente requisito, si prevede che l’assunzione agevolata non violi il diritto di precedenza vantato da altri lavoratori.
Non devono essere in atto all’interno dell’azienda sospensioni del lavoro connesse ad una crisi o ad una riorganizzazione aziendale (CIG, CIGS, Contratti di solidarietà), a meno che il lavoratore neo assunto abbia un inquadramento e una qualifica diversa rispetto a quella posseduta dai lavoratori sospesi o sia destinato ad una diversa unità produttiva.
L’assunzione non deve riguardare lavoratori licenziati, nei sei mesi precedenti, da parte di un datore di lavoro che, alla data del licenziamento, presentava elementi di relazione con il datore di lavoro che assume, sotto il profilo della sostanziale coincidenza degli assetti proprietari ovvero della sussistenza di rapporti di controllo o collegamento.
L’ultimo requisito ma non per ordine di importanza, costituendo il più frequente motivo di richiesta di restituzione degli sgravi contributivi ottenuti dalle azienda consiste nel mantenimento per l’intero periodo di fruizione dell’agevolazione della regolarità contributiva del datore di lavoro ai sensi della normativa in materia di DURC, nell’assenza di violazioni delle norma fondamentali a tutela delle condizioni di lavoro, oltre che nel rispetto degli altri obblighi di legge e discendenti dal CCNL. Tale condizione è di importanza fondamentale, in quanto il venir meno della regolarità contributiva anche per un solo mese durante l’intero periodo di fruizione o per un importo minimo anche inferiore rispetto alla somma delle agevolazioni godute, fa decadere l’intero sgravio goduto anche per il periodo precedente all’accertata irregolarità.

Modalità operativa: Per poter beneficiare dell’agevolazione in questione, sussistendone i requisiti, il datore di lavoro che intende effettuare l’assunzione, deve preventivamente comunicare la propria disponibilità all’assunzione e dei posti vacanti presso l’azienda, nella piattaforma digitale dedicata al reddito di cittadinanza presso l’ANPAL e successivamente all’assunzione del dipendente richiedere tramite compilazione del modulo on line SRDC procedere alla domanda telematicamente tramite il Portale Agevolazioni INPS, una volta trasmessa la domanda l’Istituto provvede a calcolare e comunicare la misura e la durata dell’incentivo e il piano di fruizione.

Cumulo con altre forme di incentivo all’occupazione: L’esonero contributivo in parola è compatibile e cumulabile, per espressa previsione legislativa, unicamente con il c.d. Bonus assunzioni nelle regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna) previsto dalla Legge di Bilancio 2018. Trattandosi di incentivi che prevedono, ambedue, l’esonero dal versamento dei contributi a carico del datore di lavoro e, per l’assunzione di beneficiari del Rdc, anche di quelli a carico del lavoratore, il comma 7 dell’articolo 8 del D.L. n. 4/2019 ha opportunamente previsto, in caso di esaurimento degli esoneri contributivi verificatosi a seguito del suddetto cumulo, la fruizione dell’incentivo per l’assunzione di beneficiari del Rdc sotto forma di credito di imposta.

L’esonero contributivo di cui all’articolo 8 del D.L. n. 4/2019 non è cumulabile con altri regimi agevolati né con alcun altro incentivo all’occupazione di natura economica. Pertanto, il datore di lavoro, ricorrendone i presupposti di legge, ha facoltà di decidere quale beneficio applicare, fermo restando che, in via generale, una volta attivatoil rapporto di lavoro sulla base dello specifico regime agevolato prescelto, non sarà possibile applicarne un altro.

Restituzione dell’incentivo fruito: come sopra accennato il mancato rispetto o il venir meno di una delle condizioni e requisiti durante l’intero periodo di fruizione del beneficio determina il diritto dell’INPS ad ottenere la restituzione dell’agevolazione, procedendo tramite richiesta di rettifica dei versamenti contributi e successivamente, in caso di mancato spontaneo pagamento tramite avviso di addebito.

L’articolo 8, commi 1 e 2, del D.L. n. 4/2019 prevede un’ulteriore ipotesi di restituzione nel caso in cui, nei trentasei mesi successivi all’assunzione del lavoratore beneficiario del reddito di cittadinanza il rapporto si interrompa per i seguenti motivi:

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo
Licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, se il licenziamento viene dichiarato illegittimo
Dimissioni per giusta causa
Licenziamento per mancato superamento del periodo di prova
Recesso dal contratto di apprendistato al termine del periodo di formazione.

Ove si verifichi una di tale ipotesi, il datore di lavoro, sarà tenuto a restituire l’intero ammontare del beneficio fruito maggiorato di una sanzione civile.

Si ricorda, tuttavia che le richieste di restituzioni delle agevolazione avanzate dall’INPS non sono sempre legittime, essendo talvolta frutto di un difetto di interpretazione dei comportamenti aziendali o della illegittima equiparazione di casi che presentano specificità non correttamente considerate con altri evidentemente fraudolenti. Prima di effettuare il pagamento, vanificando le agevolazioni ottenute, si consiglia sempre un’attenta valutazione e una opportuna consulenza legale, come quella offerta dal nostro studio.

 

Approfondimenti

“SMART WORKING” in cosa consiste, come si realizza, perché conviene

Definizione e tratti distintivi
Lo “smart working” o “lavoro agile” è stato introdotto per la prima volta in Italia dalla L. 22 maggio 2017, n. 81 con lo scopo esplicitato nella suddetta normativa di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
Per comprendere il reale significato del “lavoro agile” occorre innanzitutto sgomberare il campo da possibili e ricorrenti equivoci e precisare che lo “smart working” non è una nuova tipologia contrattuale del rapporto di lavoro (trattandosi pur sempre di lavoro subordinato), nè si tratta del lavoro svolto interamente da casa, con modalità da remoto, che invece caratterizza il c.d. telelavoro.
Si tratta, invece, di una particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato che implica un nuovo approccio al modo di lavorare e collaborare all’interno di un’azienda, consentendo al lavoratore, mediante accordo tra le parti, di svolgere la prestazione in parte all’interno dei locali aziendali ed in parte al di fuori senza precisi di vincoli né di orario, né di luogo di lavoro.
Il responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working, offre una puntale definizione del Lavoro Agile, affermando: “Smart Working significa ripensare il lavoro in un’ottica più intelligente, mettere in discussione i tradizionali vincoli legati a luogo e orario lasciando alle persone maggiore autonomia nel definire le modalità di lavoro a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Autonomia, ma anche flessibilità, responsabilizzazione, valorizzazione dei talenti e fiducia diventano i principi chiave di questo nuovo approccio.”
I necessari corollari dello smart working sono i seguenti:

Flessibilità di orario e di luogo di lavoro
Il primo elemento che caratterizza il lavoro agile è la flessibilità, ovvero il superamento dello schema classico del rapporto di lavoro subordinato svolto all’interno dell’azienda e nell’arco di un determinato orario. Lo smart working presuppone, infatti, la concessione della libertà del dipendente di decidere, per il tempo di lavoro prestato al di fuori dei locali aziendali, di organizzare la propria attività lavorativa, senza alcun vincolo di orario, salvo il rispetto dei limiti di orario massimo giornaliero e settimanale previsti dalla legge e dai CCNL, e senza la necessità di recarsi presso l’azienda, scegliendo, ancora una volta liberamente, la propria sede di lavoro alternativa ai locali aziendali, che potrà coincidere con la propria abitazione, ovvero con uno spazio di co-working o più semplicemente una comune pubblica biblioteca.
Organizzazione dell’attività lavorativa per cicli, fasi e obiettivi
Il secondo corollario dello smart working, diretta conseguenza del primo, è la necessaria revisione dell’organizzazione dell’attività lavorativa da parte dell’azienda, che implica il passaggio ad una definizione del lavoro per fasi, cicli e obiettivi e non più basato unicamente sulle ore lavorate.
Se da un lato, dunque, la flessibilità tipica dello smart working implica libertà del lavoratore e possibilità di contemperare le esigenze di vita e di lavoro, dall’altro lato la determinazione di obiettivi periodici o precise fasi di lavoro, presuppone responsabilità, o meglio, responsabilizzazione del lavoratore.
La simultanea compresenza di tali elementi, consente, infatti, al datore di lavoro di poter verificare la produttività del proprio dipendente e determina, anche sotto tale profilo, un cambiamento nell’approccio del “controllo datoriale”. Il datore di lavoro, infatti, passa da un controllo di tipo formale, limitato al rispetto dell’orario e dell’ordinaria diligenza nello svolgimento della prestazione, ad un controllo di merito, slegato dall’orario e dal regolamento aziendale, ma rivolto alla verifica della concreta realizzazione del risultato.
La maggiore fiducia concessa al lavoratore, elemento imprescindibile dello smart working, va quindi di pari passo con la responsabilizzazione sui risultati portando ad una maggiore competitività e produttività aziendale.
Dotazioni tecnologiche    Terzo corollario dello smart working è l’utilizzo degli strumenti tecnologici necessari per lo svolgimento dell’attività lavorativa all’esterno dei locali aziendali. I requisiti tecnologici minimi per realizzare un programma di smart working saranno la disponibilità di un PC, di un telefono aziendale e di una connessione ad internet. Tali strumenti, devono essere forniti dal datore di lavoro il quale è tenuto a garantirne il buon funzionamento e il rispetto degli standard di sicurezza.

 

Come e quando può essere realizzato

Lo smart working, essendo una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, può essere introdotto in qualunque momento del rapporto di lavoro, previo accordo scritto con il lavoratore.
La L. 81/2017 prevede espressamente la necessità di un accordo scritto tra le parti che deve essere obbligatoriamente inviato telematicamente, tramite procedura on line, al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
Tale accordo, sulla base di quanto previsto dall’art. 19 della L. 81/2017 deve prevedere tali requisiti minimi:
– La durata: l’accordo può essere sia a tempo indeterminato o determinato
– Il recesso: nel caso di accordi a tempo indeterminato il recesso è possibile con un preavviso di almeno 30 giorni (90 per i lavoratori disabili ai sensi dell’articolo 1 della legge 12 marzo 1999, n. 68), ovvero senza preavviso in caso di giustificato motivo. Negli accordi a tempo determinato, invece, non è ammessa la possibilità di recesso, salvo presenza di un giustificato motivo.
– Le modalità di svolgimento della prestazione: l’accordo deve contenere la disciplina dell’esecuzione della prestazione lavorativa al di fuori dei locali aziendali, con particolare riguardo agli strumenti tecnologici utilizzati e al rispetto del diritto alla disconnessione per il lavoratore. Va infatti, ricordato, che l’utilizzo prevalente di tecnologie informatiche in combinato con la definizione degli obiettivi per fasi e cicli in assenza di un orario prestabilito non possono e non devono tradursi in una pretesa aziendale di perenne reperibilità, sussistendo un diritto del lavoratore alla disconnessione, che è opportuno disciplinare all’interno dell’accordo.
– Potere di controllo e disciplinare: nel programma di smart working devono inoltre essere illustrate le modalità di controllo della prestazione lavorativa all’esterno dei locali aziendali, tenendo conto dell’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori.
I dati raccolti con l’utilizzo degli strumenti tecnologici di lavoro potranno, infatti, essere utilizzati per tutte le finalità attinenti al rapporto di lavoro, ivi compreso l’esercizio del potere disciplinare, purchè il lavoratore sia stato adeguatamente informato sull’utilizzo degli strumenti e sulle possibilità di controllo.

 

Le tutele dello smart – worker

Un elemento essenziale della normativa che introduce il c.d. lavoro agile è la parità di trattamento degli smart workers rispetto ai dipendenti che non aderiscono a tale tipologia di svolgimento del lavoro. Il trattamento normativo e retributivo deve essere il medesimo, come l’adozione delle adeguate norme di sicurezza. In particolare, per quanto riguardo l’orario di lavoro, di fianco al riconoscimento del diritto alla disconnessione, la norma riconosce come inviolabili i limiti di orario previsti dalla normativa vigente e dalla contrattazione collettiva.
I lavoratori “agili” hanno, inoltre, diritto alla tutela prevista in caso di infortuni e malattie professionali anche per quelle prestazioni rese all’esterno dei locali aziendali e nel tragitto tra l’abitazione ed il luogo prescelto per svolgere la propria attività.
Su tali aspetti, l’INAIL ha fornito le istruzioni operative nella circolare n.48/2017.
Si rileva, inoltre, che la Legge di Bilancio 2019, riconosce una priorità alle richieste di lavoro agile formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità e dai lavoratori con figli in condizioni di disabilità.

 

Quali vantaggi per le aziende

Utilizzando le evidenze raccolte dall’Osservatorio sullo smart working attraverso survey e casi pilota, si può affermare che i benefici ottenibili dall’introduzione dello Smart Working da parte delle aziende possono essere concreti e rilevanti, traducendosi in un miglioramento della produttività del lavoratore, riduzione dell’assenteismo e riduzione dei costi per gli spazi fisici.
È lo stesso legislatore ad identificare due motivi per i quali datore di lavoro e lavoratore possono trarre vantaggi dal ricorso alle modalità di lavoro agile: si tratta dell’incremento di competitività dal lato datore di lavoro e l’agevolazione della conciliazione vita lavoro, dal lato lavoratore. L’incremento di competitività può essere letto nella duplice sfaccettatura dell’aumento di produttività e altresì nell’incremento dell’employer branding aziendale, attraendo la forza lavoro più talentuosa e motivata.
A questi primi due motivi si aggiunge quello più concreto ed immediato che consiste nella riduzione dei costi per l’impresa, in termini di minor costo per spazi ed attrezzature e altresì per lo svolgimento della prestazione lavorativa. In altre parole, il lavoratore che svolge la sua prestazione in modalità agile consente all’impresa di ridurre i costi di affitti, utenze e attrezzature, in quanto lo spazio necessario per l’organico si riduce in proporzione all’intensità e frequenza con cui la prestazione lavorativa si svolge in modalità agile.
La riduzione del costo del lavoro, infine, può derivare anche dai minori oneri per lavoro straordinario, che mal si combina con la modalità “smart” di lavorare che per sua natura, non ha vincoli di orario predefiniti.