In questo periodo, stanno pervenendo presso il nostro studio varie richieste, da parte delle aziende, relative alla possibilità di impugnare vari provvedimenti: dai decreti e regolamenti governativi alle ordinanze ed ai provvedimenti amministrativi delle amministrazioni territoriali.

Norme e provvedimenti amministrativi.

A causa dell’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del virus Cd. Covid 19 stiamo assistendo ad una elevata produzione normativa e provvedimentale, nel cui ambito sono sicuramente ricompresi anche vari provvedimenti regionali e comunali.

Infatti, in attuazione dei provvedimenti normativi (leggi, decreti e regolamenti, non impugnabili davanti al giudice amministrativo, ma contestabili solo in via incidentale nell’ambito di un giudizio per illegittimità costituzionale), sono stati emanati innumerevoli provvedimenti dagli enti locali che stanno adottando misure restrittive sensibilmente diverse sul territorio, sia per i privati, sia per le aziende.

A titolo esemplificativo: con ordinanze comunali sono stati limitati gli ingressi da parte dei cittadini all’interno di market, supermarket e minimarket ad un massimo di due accessi settimanali e per un solo membro per nucleo familiare.

Ancora: sono state emanante ordinanze limitative delle uscite dall’abitazione ad una sola volta al giorno, autorizzando sempre un solo componente nucleo familiare, per recarsi in panifici, macellerie, pescherie, negozi di ortofrutta.

A fronte di provvedimenti di tale tenore, varie associazioni di categoria e gruppi di imprenditori hanno promosso impugnazioni avanti ai Tar di competenza territoriale.

Sennonché, in via generale, la giurisprudenza amministrativa maggioritaria si sta orientando verso il rigetto di tali ricorsi, rilevando che le ordinanze contingibili e urgenti impugnate sono state adottate in presenza dei presupposti di necessità e urgenza in materia sanitaria e che le stesse non si pongono in contrasto con le disposizioni dettate a livello nazionale e regionale, posto che gli impugnati provvedimenti si limitano a rendere più stringenti alcune delle misure prese a livello nazionale e regionale “con il dichiarato fine di evitare che il contagio nell’ambito comunale possa diffondersi attraverso comportamenti delle persone non in linea con l’obiettivo di limitare al massimo gli spostamenti e le uscite dalla propria abitazione per l’approvvigionamento dei necessari beni” (Tar Sardegna, decreto 7 aprile 2020, n. 122).

Il giudice amministrativo in sostanza, applica un bilanciamento tra i diritti fondamentali in gioco nel caso in esame, quali la libertà di circolazione, la riservatezza e, chiaramente, il diritto alla salute.

In particolare, il Consiglio di Stato (Sez. III, decreto 30 marzo 2020, n. 1553) ha espressamente valutato il diritto alla salute pubblica come valore superiore alla libertà di movimento, alla privacy e al lavoro, ritenendo che nella valutazione tra contrapposti interessi (rectius, diritti fondamentali), a fronte della compressione di alcune libertà fondamentali, deve essere accordata prevalenza alle misure volte a tutelare la salute pubblica.

A ciò ci aggiunga una valutazione di tipo strettamente pratico: l’evoluzione dell’attuale situazione emergenziale è talmente repentina da rendere spesso inattuali i provvedimenti impugnati, i quali vengono sostituiti da atti successivi che modificano e sostituiscono l’atto impugnato.

Verbali e sanzioni amministrative.

Ben diversa, invece, è la fattispecie relativa all’impugnazione di verbali applicativi di sanzioni derivanti dalla mancata esecuzione delle misure di sicurezza per la prevenzione del Covid. 19.

Ci concentriamo, in particolare, sulle sanzioni elevate alle aziende per la mancata o non corretta applicazione dei protocolli di sicurezza. Come noto, chi esercita attività economiche, produttive e sociali deve rispettare le normative anti Coronavirus contenute nel Decreto Legge n. 33 del 16 maggio 2020, nel D.P.C.M. 17 maggio 2020, nei protocolli nazionali anti contagio di ogni settore e nelle ordinanze regionali.

Il Decreto Legge n. 33 del 16 maggio 2020 all’art. 1 comma 15 stabilisce che “Il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli o delle linee guida, regionali, o, in assenza, nazionali, di cui al comma 14 che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza“.

L’articolo 2 del Decreto Legge n. 33 del 16 maggio 2020, prevede che le violazioni delle disposizioni del presente decreto, ovvero dei decreti e delle ordinanze emanati in attuazione del presente decreto, sono punite con la sanzione amministrativa da 400 a 3.000 euro e, nei casi in cui la violazione sia commessa nell’esercizio di un’attività di impresa, si applica la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni.

Tali provvedimenti sanzionatori possono presentare vari profili di criticità, anche perché non è ancora chiaro quale valore probatorio possano assumere le dichiarazioni del titolare di un’azienda in merito alla corretta esecuzione dei protocolli di sicurezza.

L’accertamento è attività svolta da ufficiali e agenti di polizia giudiziaria o altri organi addetti al controllo, svolta mediante diretta osservazione che viene incorporata nel verbale.

La contestazione è la comunicazione fatta (immediatamente dopo l’accertamento) al destinatario della pendenza di un procedimento amministrativo sanzionatorio a suo carico. Ha la funzione di informare legalmente il soggetto circa la natura, il contenuto sanzionatorio e le modalità di estinzione dell’obbligazione e della possibilità di ricorso, per cui ha forma scritta è requisito sostanziale. Eventuali vizi del procedimento possono riferirsi alla mancanza degli elementi fondamentali come l’omessa indicazione delle modalità di estinzione della violazione. La validità del verbale di contestazione è condizione di procedibilità del procedimento sanzionatorio: una eventuale invalidità impatta sull’intero procedimento, tuttavia può essere sanata dall’organo accertatore con una nuova contestazione, da notificarsi entro i termini perentori previsti.

La notificazione, se non avvenuta nell’immediatezza dei fatti ed a mani del trasgressore, deve essere effettuata entro il termine perentorio di novanta giorni dall’accertamento.

Le sanzioni sono irrogate dal Prefetto del luogo dove è stato accertato il fatto, per quanto concerne la violazione delle misure previste dall’art. 1 del decreto-legge adottate tramite DPCM; quanto alla violazione delle misure adottate ex art. 3 dalle Regioni ovvero dai Sindaci, le sanzioni verranno irrogate dal Presidente della Regione o dal Sindaco competenti per territorio.

La procedura di impugnazione segue le regole di cui alla Legge di Depenalizzazione, come modificata dal decreto legislativo n. 150/2011, ed ha come oggetto l’ordinanza-ingiunzione emessa dal Prefetto o da altra autorità di cui all’art. 3 del decreto-legge citato.

Naturalmente, l’azione dell’imprenditore che intende salvaguardare la salute altrui ed insieme la propria ripresa economica, non può prescindere dalla collaborazione dei propri dipendenti.

Pertanto, una volta che il datore di lavoro abbia adeguatamente informato i lavoratori in ordine alle disposizioni Protocollari, riveste certamente rilievo disciplinare, la violazione da parte del dipendente delle nuove regole.

A titolo esemplificativo, potrebbe trattarsi dell’obbligo di sottoporsi alla misurazione della temperatura corporea (ancorché ciò gli impedirà l’ingresso sul luogo di lavoro), la mancata adozione di comportamenti idonei al mantenimento del distanziamento sociale (ove il datore di lavoro abbia provveduto a consentire il distanziamento con idonei strumenti organizzativi), il mancato utilizzo della mascherina protettiva e dei presidi di igienizzazione delle mani, il rifiuto di aderire ad una differente e necessaria organizzazione della turnistica o degli orari di lavoro e così via.

A ciò si aggiunga che l’esercizio da parte del datore di lavoro della sorveglianza circa l’adozione da parte del dipendente delle misure di igiene e sicurezza sul lavoro non è una facoltà, ma un obbligo.