L’8 e 9 giugno 2025, siamo chiamati a esprimerci su quattro quesiti referendari in materia di diritto del lavoro. Questi quesiti mirano a modificare o abrogare parti significative della riforma del lavoro introdotta dal d. lgs 23/2015 “Jobs Act”, già in larga parte modificata da interventi abrogativi della Corte Costituzionale e da successive modifiche legislative (Decreto Dignità).
Di seguito, un’analisi di ciascun quesito, con particolare attenzione alle implicazioni giuridiche e alle possibili conseguenze per i professionisti del settore.
- Quesito: Disciplina dei Licenziamenti illegittimi: abrogazione
Quesito: Abrogare per intero la disciplina che impedisce, nelle imprese con più di 15 dipendenti, il reintegro del lavoratore licenziato nel caso di accertamento dell’illegittimità del licenziamento in alcune ipotesi.
Cosa prevede oggi la legge in caso di accertamento di illegittimità del licenziamento?
Reintegrazione e pagamento di tutte le mensilità maturate dal licenziamento alla reintegrazione nei seguenti casi, considerati più gravi, in cui il licenziamento è considerato nullo:
- Licenziamenti discriminatori, basati su motivi di provenienza etnica, sesso, orientamento sessuale, religione, opinioni politiche, sindacali, disabilità, ecc.;
- Licenziamenti nulli per motivo illecito determinante: quando il motivo alla base del licenziamento anche se apparentemente legittimo si rilevi illecito perché adottato per motivazioni ritorsive. (Es. a seguito di legittime rivendicazioni avanzate dal lavoratore)
- Licenziamenti orali (non comunicati in forma scritta): la forma scritta è richiesta a pena di nullità (art. 2, D.lgs. 23/2015). Il licenziamento orale è considerato inesistente o nullo, con conseguente reintegra.
- Licenziamenti durante periodi protetti: durante il periodo di gravidanza e fino al primo anno di vita del figlio (art. 54 D.lgs. 151/2001), durante i periodi di congedo parentale, o malattia/infortunio protetti dalla legge.
- Nei casi di licenziamento per giusta causa quando il giudice accerta l’inesistenza materiale del fatto materiale contestato al lavoratore: es: se il datore di lavoro licenzia contestando un furto e risulta che il fatto non è avvenuto o che comunque il lavoratore non lo ha commesso.
Indennizzo soltanto economico determinato dal Giudice tra un minimo di sei mensilità e un massimo di trentasei mensilità dell’ultima retribuzione utile al calcolo del TFR quando il licenziamento è ritenuto illegittimo per i seguenti motivi:
- Nei casi di licenziamenti disciplinari ove il fatto contestato risulti effettivamente accaduto ma il licenziamento è sproporzionato rispetto alla gravità dei fatti accertati.
- Nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (GMO) non fondato, es.: Il datore invoca ragioni economiche, organizzative o produttive, ma il giudice accerta che non sussistono.
- Nei casi di violazione formale delle procedure previste per il licenziamento (es. mancato rispetto dell’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori per il disciplinare).
Cosa cambia se vince il SI?
Se approvato, il quesito ripristinerebbe la normativa previgente, ovvero l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970), come modificato dalla Legge Fornero (L. n. 92/2012) che prevedeva quanto segue:
reintegrazione e pagamento di tutte le mensilità maturate dal licenziamento alla reintegrazione in tutti i casi di nullità per contrasto a norme imperative e di inesistenza materiale del fatto materiale contestato (come il Jobs Act) nonché nei seguenti ulteriori casi di illegittimità:
- Nei casi di licenziamenti disciplinare quando il giudice accerta che il fatto contesto al lavoratore sussiste ma rientra nelle ipotesi punibili con una sanzione conservativa dal CCNL o dal codice disciplinari oppure sussiste materialmente ma non è disciplinarmente rilevante;
- Nei casi di licenziamenti per motivo oggettivo quando sia accertata l’insussistenza del motivo oggettivo (economico o di ristrutturazione aziendale) posto a fondamento del licenziamento;
indennizzo economico (c.d tutela reale attenuata) determinato dal Giudice tra un minimo di dodici mensilità e un massimo di ventiquattro mensilità della retribuzione di fatto percepita dal lavoratore nei seguenti casi:
- Nei casi di violazione procedurale o carenza di motivazione del licenziamento.
- Nei casi in cui il fatto contestato sussiste e sia disciplinarmente rilevante ma vi sia sproporzione tra il licenziamento e il fatto contestato, ove la condotta non coincida con alcuna delle fattispecie per le quali i contratti collettivi ovvero i codici disciplinari applicabili prevedono una sanzione conservativa;
In estrema sintesi, dunque, se vincesse il SI verrebbero aumentati i casi in cui il Giudice potrebbe condannare la società che ha licenziato ingiustamente il lavoratore a reintegrarlo nel posto di lavoro.
Tale modifica aumenta le tutele per i lavoratori, ma al tempo stesso potrebbe comportare un incremento del contenzioso legale, aumentando le incertezze per le imprese che licenziano circa le conseguenze (reintegrazione o indennità economica) che potranno subire nel caso in cui il Tribunale ritenesse illegittimo il licenziamento, cosi come le aspettative del lavoratore nel raggiungere un risultato migliore, rispetto ad esempio ad una proposta di accordo, in caso di giudizio.
2. Quesito: Piccole Imprese: Licenziamenti e Indennità
Quesito: Abrogare la norma che impone un limite massimo all’indennità per i lavoratori licenziati in modo illegittimo nelle piccole imprese (meno di 15 dipendenti).
Cosa prevede oggi la legge in caso di accertamento di illegittimità del licenziamento da parte di una piccola impresa?
Reintegrazione limitatamente alle ipotesi in cui il licenziamento sia nullo in quanto espressamente vietati dalla legge per contrasto con norme imperativa come sopra visti, tra cui: licenziamenti discriminatori, licenziamenti per motivo illecito determinante (quando il motivo alla base del licenziamento anche se apparentemente legittimo si rilevi illecito perché adottato per motivazioni ritorsive), licenziamenti orali (non comunicati in forma scritta); licenziamenti durante i periodi protetti ( es. gravidanza, congedo parentale, o malattia/infortunio).
indennità economica determinata dal Giudice di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 6 mensilità in tutti gli altri casi di illegittimità per insussistenza dei motivi o sproporzione dei fatti.
Cosa cambia se vince il SI?
Se approvato, il quesito andrebbe a riformulare l’art. 8 della Legge n. 604/1966 (che ha già subito varie modifiche nel corso del tempo), eliminando la parte in cui si prevede il limite massimo delle sei mensilità per la determinazione dell’indennità economica. Quest’ultima, quindi, sarebbe stabilita dal Giudice vincolato solo nel minimo delle 2,5 mensilità ma non nel massimo, sulla base di una serie di criteri, tra cui l’anzianità di servizio, l’età, i carichi di famiglia e la capacità economica dell’azienda.
Tale modifica, apporterebbe un ampliamento della tutela indennitaria dei lavoratori, ampliando al tempo stesso la discrezionalità del Giudice. Tuttavia, per le piccole imprese, ciò potrebbe comportare una sfida significativa nella gestione dei costi legati ai licenziamenti, con potenziali ripercussioni sulla loro sostenibilità economica, nonchè un aumento delle incertezze per le imprese che licenziano circa il rischio economico massimo che potrebbero subire nel caso in cui il Tribunale ritenesse illegittimo il licenziamento.
3. Quesito: Contratti a Termine: durata massima e proroghe
Quesito: Abrogare le norme che permettono la stipulazione di contratti a termine fino a 12 mesi senza obbligo di causale per tutte le tipologie di imprese.
Qual è la disciplina attuale che regola i contratti a tempo determinato?
Il contratto di lavoro a tempo determinato è attualmente disciplinato dall’articolo 19 del d.lgs. n. 81/2015 e successive modifiche, che prevede la possibilità per il datore di lavoro di stipulare contratti a tempo determinato senza l’indicazione di una causale, con durata massima di dodici mesi.
Tale limite, può essere superato fino a un massimo di ventiquattro mesi, ma solamente in presenza di determinate causali, quali:
- quando tale possibilità è prevista dai contratti collettivi;
- per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti documentabili; (es. Picchi stagionali, aumento imprevisto di lavoro)
- in sostituzione di altri lavoratori.
Cosa cambia se vince il SI?
Se approvato, il quesito andrebbe a riformulare l’art. 19 del d. lgs. n. 81/2015, introducendo la necessaria presenza di una causale giustificativa per stipulare qualunque contratto a tempo determinato, anche per contratti di durata inferiore a 12 mesi, mantenendo, in ogni caso, la durata massima di ventiquattro mesi.
Le implicazioni giuridiche conseguenti a tale modifica sarebbero molteplici, in quanto l’eliminazione della c.d. a-causalità dei contratti di lavoro a tempo determinato, determinerebbe l’attuazione di un meccanismo in cui tutti i contratti a termine devono essere giustificati da concrete esigenze e motivazioni.
Tale normativa potrebbe ridurre l’utilizzo dei contratti a tempo determinato, incentivando forme di lavoro più stabili. Tuttavia, il quesito potrebbe apportare un incremento del contenzioso relativo alla validità delle causali apposte; inoltre, le imprese potrebbero trovarsi a dover sostenere spese amministrative e legali maggiori per adempiere alla necessità di apporre una giustificazione ogniqualvolta vogliano stipulare un contratto a termine.
4. Quesito: responsabilità solidale negli appalti
Quesito: Abrogare la norma che esclude la responsabilità solidale del committente per gli infortuni subiti dai lavoratori dipendenti di imprese appaltatrici o subappaltatrici, in relazione ai rischi specifici dell’attività.
Cosa prevede oggi la legge in materia di responsabilità solidale negli appalti?
In caso di appalto o subappalto, la disciplina della responsabilità sui luoghi di lavoro è attualmente prevista dall’art. 26, comma 4, Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Tale disposizione prevede che l’imprenditore committente risponde in solido con l’appaltatore e con gli eventuali subappaltatori, per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dell’appaltatore o del subappaltatore, non risulti indennizzato ad opera dell’INAIL.
Tuttavia, l’ultimo periodo della suddetta norma, prevede che tale responsabilità solidale non vada applicata nel caso in cui i danni derivino da rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici; in questo caso, quindi, sul committente non potrà ricadere alcuna responsabilità civilistico – risarcitoria per i danni derivanti da infortuni sul lavoro.
Cosa cambia se vince il SI?
Se approvato, il quesito andrebbe ad abrogare l’ultimo periodo del comma 4 dell’art. 26 Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro.
Di conseguenza, in caso di infortunio sul luogo di lavoro, il committente risulterebbe responsabile in solido con l’appaltatore ed eventualmente con il subappaltatore, a prescindere dalla sussistenza o meno di rischi specifici dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.
In sintesi, la normativa di risulta andrebbe ad estendere la responsabilità solidale, determinando in capo alle imprese committenti un incentivo a predisporre un’attenzione maggiore alla sicurezza nei luoghi di lavoro, garantendo, pertanto, una maggiore tutela al lavoratore in caso di infortunio.
In aggiunta, l’eventuale riforma della normativa in discussione potrebbe comportare un aumento delle richieste di risarcimento nei confronti dei committenti, maturando in capo ai medesimi la necessità di selezionare imprese sempre più qualificate e rispettose della normativa vigente in ambito di sicurezza sul lavoro.
Considerazioni Finali
L’approvazione di questi quesiti potrebbe comportare significative modifiche al panorama giuridico del diritto del lavoro in Italia. Professionisti del settore dovranno prepararsi a gestire un possibile aumento del contenzioso, una maggiore discrezionalità nelle decisioni giudiziarie e una possibile riformulazione delle strategie aziendali in materia di assunzioni e licenziamenti. Sarà fondamentale monitorare l’evoluzione del dibattito pubblico e le posizioni delle principali sigle sindacali e associazioni datoriali per comprendere appieno le implicazioni di queste potenziali modifiche legislative.