Il 1° aprile 2023 è entrato in vigore il nuovo Codice dei contratti pubblici (D.lgs. 31 marzo 2023, n. 36), le cui norme troveranno applicazione dal 1° luglio 2023.

Il decreto, che sostituisce il D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, è stato adottato per dare attuazione ai principi espressi nella legge delega 21 giugno 2022, n. 78, tra i quali rientrano:

  • la semplificazione delle norme;
  • la digitalizzazione;
  • la trasparenza;
  • la tutela dei lavoratori.

In particolare l’art. 11 disciplina il principio di applicazione dei contratti collettivi nazionali e di settore e i profili relativi alle inadempienze e al ritardo dei pagamenti.

 

Come viene precisato anche nella relazione illustrativa, tale principio non estende l’efficacia del contratto collettivo di settore a tutti i lavoratori, ma si limita a indicare le condizioni contrattuali minime che l’aggiudicatario deve applicare al personale impiegato.

 

È al secondo comma che la norma in esame mostra tutta la sua portata innovativa: si prevede infatti l’obbligo per le stazioni appalti e per gli enti concedenti di indicare nei bandi e negli inviti il contratto collettivo applicabile al personale dipendente impiegato nell’appalto o nella concessione. In altre parole, il contratto collettivo da applicare al personale dipendente viene indicato negli atti di gara dalla stazione appaltante.

 

Emerge però una criticità: L’operatore economico può applicare un contratto collettivo differente da quello previsto in gara? se ciò è possibile, qual è il criterio per stabilire se il contratto collettivo applicato sia idoneo allo svolgimento dell’appalto?

 

Dalla piana lettura della norma, la risposta al primo quesito formulato sembra positiva purchè:

 

  • laddove l’operatore economico concorrente applichi un contratto collettivo differente, dovrà indicare nella propria offerta il differente contratto collettivo applicato;
  • il predetto CCNL garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato dalla stazione appaltante o dall’ente concedente”;
  • prima dell’affidamento o dell’aggiudicazione le stazioni appaltanti acquisiscano la dichiarazione con la quale l’operatore economico individuato si impegna ad applicare il contratto collettivo nazionale e territoriale indicato nell’esecuzione delle prestazioni oggetto del contratto per tutta la sua durata, ovvero la dichiarazione di equivalenza delle tutele. (…).

 

Gli operatori economici possono quindi applicare anche un contratto diverso da quello individuato dalla stazione appaltante (purché coerente con l’oggetto dell’appalto), ma devono dichiaralo nella propria offerta, impegnandosi ad assicurane l’applicazione per tutta la durata dell’appalto. Alla stazione appaltante resta poi il compito di valutare la dichiarazione per verificare se il contratto collettivo indicato dall’operatore economico garantisca le medesime tutele riportato negli atti di gara.

 

Tuttavia le norme in commento non sembrano risolvere a pieno la problematica, perché vi possono essere casi in cui siano individuabili più contratti collettivi molto diversi tra loro, con caratteristiche e standard di tutela differenti (si pensi al caso di un appalto di fornitura, che preveda anche il trasporto e il montaggio).

 

Le medesime condizioni vengono inoltre garantite ai subappaltatori. Anche l’operatore economico che agisce in subappalto sarà quindi chiamato ad applicare il contratto collettivo nazionale indicato negli atti di gara, ovvero uno che garantisca ai propri dipendenti le medesime tutele.

 

Resta in essere quanto già previsto dal vecchio codice con riferimento all’intervento sostitutivo della stazione appaltante nel caso di inadempienze contributive o retributive dell’impresa affidataria o del subappaltatore.

In particolare:

– In caso di inadempienza contributiva risultante dal documento unico di regolarità contributiva (DURC) relativo a personale dipendente dell’affidatario (o dell’eventuale subappaltatore) impiegato nell’esecuzione del contratto, la stazione appaltante trattiene dal certificato di pagamento l’importo corrispondente all’inadempienza ed esegue il versamento diretto agli enti previdenziali e assicurativi, compresa, nei lavori, la cassa edile. Sull’importo netto progressivo delle prestazioni viene operata una ritenuta dello 0,50 per cento. Le ritenute possono essere svicolate soltanto dopo il collaudo o la verifica di conformità, in sede di liquidazione finale, qualora sia stato rilasciato il DURC;

– Nel caso di ritardo nel pagamento dovuto al personale dipendente, il RUP invita per iscritto il soggetto inadempiente, ed in ogni caso l’affidatario, a provvedervi entro i successivi 15 quindici giorni. Qualora non sia stata contestata formalmente e motivatamente la fondatezza della richiesta entro il termine suddetto la stazione appaltante paga anche in corso d’opera direttamente ai lavoratori le retribuzioni arretrate, detraendo il relativo importo dalle somme dovute all’affidatario del contratto ovvero dalle somme dovute al subappaltatore inadempiente nel caso in cui sia previsto il pagamento diretto.

 

Conclusioni:

Senza dubbio l’art. 11 del D.lgs. 36/2023 amplia la tutela per il personale dipendente impiegato negli appalti pubblici.

Tuttavia, come abbiamo visto, restano aperte questioni non di poco conto, non essendo sempre possibile individuare in modo coerente il contratto collettivo applicabile all’appalto in questione.

Sarà quindi importante verificare in sede di applicazione quale sarà la prassi che si consoliderà ed eventualmente i criteri suggeriti dalla giurisprudenza per la corretta individuazione del contratto collettivo/dei contratti collettivi applicabili nelle varie tipologie di appalto.