Si è recentemente conclusa una vicenda giudiziaria che vedeva protagonisti un lavoratore e il suo datore di lavoro.

Più nel dettaglio, il lavoratore lamentava l’esistenza di tutta una serie di condotte mobbizzanti poste in essere dal datore di lavoro, condotte che, a parere della Procura della Repubblica che ha rinviato a giudizio l’imprenditore e dei Giudici che successivamente lo hanno condannato, sono punibili penalmente ai sensi dell’art. 612 bis c.p. come stalking.

Non è il primo caso in cui la Corte di Cassazione ha riconosciuto l’esistenza di uno stalking c.d. occupazionale, punendo penalmente il datore di lavoro.

Innanzi tutto è necessario chiarire che il reato di atti persecutori si configura quando un soggetto pone in essere condotte reiterate volte a provocare nella vittima, alternativamente, uno dei tre eventi legislativamente previsti dalla norma:

  • un perdurante e grave stato di ansia o di paura;
  • un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata da relazione affettiva;
  • un cambiamento delle abitudini di vita.

A parere della Cassazione, è irrilevante il luogo ove tali eventi si verificano e, dunque, nel caso in cui il datore di lavoro realizzi più condotte finalizzate ad isolare e a vessare il lavoratore e quest’ultimo dimostri la realizzazione di uno degli eventi contemplati dall’art. 612 bis del c.p., la fattispecie assume non più e non solo rilevanza giuslavoristica, ma addirittura penalistica.

Solo a titolo esemplificativo, si potrà parlare di stalking occupazionale nel caso in cui vi sia una reiterata violenza psicologica nei confronti del lavoratore mediante un utilizzo eccessivo e pretestuoso di lettere di ammonimento, disciplinari, inviate anche nelle ore in cui il lavoratore non è in servizio attraverso posta elettronica, pec, whatsapp, di domenica o in altri giorni festivi, in orari serali o notturni, finalizzati a creare timore, ansia ed infastidire la tranquillità personale e familiare della vittima.

Ancora, le condotte potrebbero assumere una rilevanza penale nel caso in cui vi siano atteggiamenti minatori volti a paventare denunce o procedimenti disciplinari in danno del lavoratore, diffondere notizie false e denigratorie all’interno del luogo di lavoro, controllare continuamente l’operato del dipendente, rifiutare di concedere ferie o permessi e, chiaramente, demansionare gradatamente il lavoratore delle proprie mansioni fino ad arrivare, in taluni casi, a privarlo del tutto delle stesse.

Tali condotte potrebbero essere seguite dalla necessità del dipendente di allontanarsi o assentarsi dal luogo di lavoro per sfuggire proprio alla situazione fortemente ansiosa.

Sul piano del diritto civile, tali condotte reiterate vengono considerate molestie sessuali o mobbing.

A livello penalistico, la giurisprudenza e la dottrina, considerano lo stalking occupazionale diretta espressione dell’art. 2087 del c.c. che tutela l’integrità fisica e morale del prestatore d’opera, obbligo incombente sul datore di lavoro.

Da ciò consegue che il datore di lavoro che mette in pericolo tale integrità possa rispondere del reato previsto dall’art. 612 bis c.p..

Non solo.  La giurisprudenza si è spinta in alcuni casi ad affermare che se il datore di lavoro era a conoscenza delle condotte persecutorie denunciate dalla vittima e poste in essere dai superiori gerarchici e non si è attivato ed adoperato per far cessare le stesse, deve essere considerato responsabile in solido con il persecutore o stalker di tutti i danni ingiustamente cagionati alla vittima che potranno essere biologico, morale, esistenziale e patrimoniale.